La legge sugli appalti di Trento illegittima per deficit di gara

15/02/2010 - Laddove un ente locale abbia per legge competenza esclusiva su una materia, è legittimato a disciplinare autonomamente il settore, ma le disposizioni emanate non possono avere un contenuto difforme da quello assicurato in ambito nazionale ed europeo. È questo l'assunto di partenza mediante il quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di alcune norme recate dalla legge della provincia autonoma di Trento n. 10/2008 in tema di lavori pubblici, pronunciata con la sentenza n. 45/2010, depositata ieri.



Il governo aveva presentato due distinti ricorsi contro il provvedimento legislativo, sostenendo che fosse in contrasto con la disciplina nazionale e con le direttive comunitarie sui pubblici appalti. La provincia di Trento si difendeva argomentando che lo statuto speciale attribuisce alla sua competenza esclusiva la materia dei lavori pubblici di interesse provinciale.
Preliminarmente, la Corte costituzionale ricorda che, come già affermato con la sentenza n. 303 del 2003, i lavori pubblici «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono», potendo essere appannaggio, caso per caso, di potestà legislativa nazionale o regionale.

Nel caso in esame, la provincia autonoma di Trento poteva legiferare in materia di lavori pubblici di interesse provinciale, dovendo però rispettare, specialmente con riferimento alla normativa sulle gare a evidenza pubblica, i principi della tutela della concorrenza contenuti nel Codice degli appalti «che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo». Entrando nel merito della questione, la Corte accoglie solo un ristretto gruppo delle censure sollevate da palazzo Chigi, dichiarando inammissibili le altre. La prima norma dichiarata costituzionalmente illegittima è l'articolo 1 della l.p. n. 10/2008, la quale stabilisce che per gli interventi eseguiti direttamente da privati a scomputo di contributi connessi ad atti abilitanti all'attività edilizia o conseguenti agli obblighi derivanti da convezioni di lottizzazione non si applicano le norme di garanzia che disciplinano le procedure di gara. L'articolo 32, comma 1, lettera g) del Codice degli appalti, invece, prevede il necessario espletamento della gara pubblica. Incostituzionale anche la previsione che limita l'applicazione delle regole a tutela della concorrenza soltanto per i contratti di sponsorizzazione relativi a opere o lavori pubblici, nonché per quelli aventi ad oggetti i beni culturali. La Consulta osserva che il Codice degli appalti ricomprende nell'ambito operativo della disciplina a tutela della concorrenza tutte le tipologie di contratti di sponsorizzazione. Ulteriore censura riguarda l'articolo 4 del provvedimento, che estende l'applicazione del contenuto dell'intera legge provinciale anche ai lavori eseguiti da soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, che ricevono finanziamenti dalla Provincia. La norma è dichiarata illegittima, «in quanto pone, quale condizione per la sua applicazione, l'esistenza di progetti di importo complessivo pari a tre milioni di euro, mentre l'art. 32 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede il diverso limite di un milione di euro, così assicurando una maggiore tutela della concorrenza». Bocciata, infine, la previsione che riduceva la possibilità di partecipare alle gare a procedura ristretta. La legge statale, sentenzia la Corte, consente infatti «la partecipazione alla procedura ristretta di tutti i soggetti che ne abbiano fatto richiesta e non solo, come, invece, previsto dal legislatore provinciale, di quelli prescelti dalla stazione appaltante».


Sentenza della Corte Costituzionale n. 45/2010